Immagine ricavata dal cortometraggio “Sea rescue is not a crime” di Primitivi.
I. Introduzione
Nel 2019 meno di 15.000 persone sono riuscite ad attraversare il mar Mediterraneo. Soltanto 11.500 persone hanno raggiunto l’Italia via mare mentre circa 3.300 sono approdate a Malta, in gran parte fuggendo dalla Libia o dalla Tunisia. Queste cifre demarcano una riduzione drammatica degli arrivi – da 181.436 arrivi nel 2016, 119.369 nel 2017 e 23.370 nel 2018. Questa diminuzione non riflette una minore necessità di fuga, al contrario denota la crescente capacità dell’Europa e dei suoi alleati africani di chiudere le rotte migratorie, di impedire le partenze con la violenza o di catturare le persone in mare costringendole a tornare indietro con la forza.
Nonostante la diminuzione degli arrivi in Europa, Alarm Phone non ha mai ricevuto così tante chiamate da barche in pericolo nel Mediterraneo centrale, in proporzione al numero di partenze. Mentre nel 2018 siamo stati contattati da 27 barche in questa regione, nel 2019 ci hanno chiamati 101 barche con a bordo un totale di 6.200 persone. Durante queste chiamate abbiamo ascoltato persone che tentavano disperatamente di sopravvivere e che temevano di essere riportate alle condizioni disumane e alle torture della Libia. Nonostante tutti gli ostacoli, queste persone hanno continuato a navigare verso l’Europa, lottando con tenacia per la loro libertà.
Il 2019 è iniziato con delle tragedie in mare. Il 18 gennaio 117 persone sono morte al largo della Libia mentre in tutto l’anno sono state registrate 743 morti nel Mediterraneo centrale, ma sappiamo che ce ne sono state centinaia di più. Organizzazioni internazionali come la OIM e l’UNHCR che compilano statistiche sulle morti in mare hanno ignorato diversi naufragi che abbiamo riferito. Durante l’anno abbiamo visto respingimenti di massa e intercettazioni, specialmente da parte della cosiddetta guardia costiera libica. Sembra che circa 9.000 persone siano state intercettate e riportate di forza nella Libia in guerra. Alcuni di questi respingimenti sono stati effettuati da navi mercantili, tra cui la Lady Sham che il 21 gennaio ha riportato in Libia 144 persone. Molte di queste intercettazioni sono state coordinate dall’Europa, dalle guardie costiere europee, di Eunavfor Med o Frontex, che erano spesso presenti nelle zone in cui si trovavano le barche in pericolo ma si limitavano a sorvegliare la situazione dall’aria per poter coordinare le intercettazioni senza essere “costrette” a soccorrere le persone in pericolo e portarle in Europa. Un’altra costante del 2019 sono stati i tentativi di criminalizzare e delegittimare i soccorritori della società civile e delle ONG al fine di allontanare i testimoni delle violazioni di diritti umani perpetrate dall’Europa e dai suoi alleati in mare.
Tuttavia, nonostante tutte le atrocità a cui abbiamo assistito nel Mediterraneo nel corso dell’anno, abbiamo anche assistito a migliaia di lotte individuali e collettive per la libertà di movimento. Abbiamo visto imbarcazioni arrivare autonomamente sulle coste europee e la società civile riprendere operazioni di soccorso in mare nonostante tutti gli ostacoli e i tentativi di repressione.
Abbiamo visto la resistenza da parte di migranti che, come nel caso del ‘ElHiblu 3’[1], hanno lottato contro il respingimento verso i luoghi di tortura e oppressione da cui erano fuggiti. Sono anche emerse nuove forme di solidarietà ‘in movimento’, dal mare alle città. Per il prossimo anno promettiamo di continuare la nostra lotta contro le morti in mare al fianco delle persone migranti, insieme alla flotta civile, ai pescatori del Nord Africa, ai movimenti sociali, alla società civile e alle città solidali. Insieme, non smetteremo di lottare per la libertà di movimento, per costruire ponti, non muri.
II. Sviluppi nel Mediterraneo Centrale
Tra l’1 ottobre e il 31 dicembre, periodo di tempo coperto da questa analisi, abbiamo assistito a innumerevoli lotte collettive di migranti, attivisti e ONG nel Mediterraneo centrale. Da parte dell’Europa e dei suoi alleati nordafricani, invece, non abbiamo visto altro che pratiche di non assistenza, ritardi nei soccorsi, intercettazioni e respingimenti in Libia.
Soccorsi da parte della flotta civile e di Alarm Phone
Negli ultimi tre mesi le navi delle ONG, la cosiddetta ‘flotta civile’, sono tornate più volte nel Mediterraneo centrale per condurre operazioni di ricerca e soccorso, molte delle quali hanno coinvolto l’Alarm Phone. Il 6 ottobre la Open Arms ha soccorso 40 persone che erano in pericolo su un’imbarcazione di legno. Tra il 12 e il 13 ottobre, la Ocean Viking ha soccorso due imbarcazioni con rispettivamente 74 e 102 persone[2] a bordo: entrambe avevano contattato l’Alarm Phone quando si trovavano in pericolo in mare. Il 26 ottobre la Alan Kurdi ha soccorso 92 persone[3] che avevano chiamato l’Alarm Phone: durante l’operazione di soccorso sono stati ostacolati e minacciati dalle milizie libiche. Il 19 novembre la Ocean Viking ha soccorso 94 persone grazie ad una segnalazione da parte di Alarm Phone. La Ocean Viking ha anche soccorso un’imbarcazione con a bordo 30 persone[4] che ci avevano contattato quando erano in pericolo in mare. Il 28 novembre Alarm Phone è stato contattato da 3 barche in pericolo, che sono successivamente state tutte soccorse dalle navi della flotta civile: due dalla Alan Kurdi, con rispettivamente 44 e 40 persone[5] a bordo, e una dalla Ocean Viking con 60 persone[6] a bordo. Una volta tornata in mare, la Ocean Viking ha nuovamente soccorso due barche, una con 112 persone e una con 50 persone[7] tra il 20 e il 21 dicembre: entrambe le imbarcazioni avevano chiamato l’Alarm Phone. Tra queste 162 persone soccorse dalla Ocean Viking si trovavano circa 50 minori, e alcuni hanno dichiarato di essere superstiti dell’attacco aereo al centro di detenzione di Tajoura[8] dove erano tenuti prigionieri. Il 27 dicembre la Alan Kurdi ha soccorso 32 persone[9] che erano in fuga dalla Libia: anche loro avevano chiamato l’Alarm Phone dal mare.
Dopo alcune di queste operazioni di salvataggio, la flotta civile ha dovuto attendere molti giorni prima che fosse assegnato un porto sicuro in Europa. Questo non ha fatto altro che prolungare la condizione di sofferenza delle persone soccorse.[10] Fortunatamente, un altro membro della flotta civile ha fatto ritorno nel Mediterraneo centrale: il 19 dicembre la Sea Watch 3 è stata finalmente rilasciata e il 30 dicembre il suo equipaggio è salpato verso la zona letale al largo della costa libica.[11]
Questo grafico evidenzia il ruolo cruciale della flotta civile nel Mediterraneo centrale. Nel novembre 2019 più del 90% delle persone che sono fuggite dalla Libia e che hanno raggiunto l’Europa sono state soccorse da una delle navi della flotta civile.
Omissioni di soccorso, ritardi, intercettazioni e respingimenti
Alcune delle imbarcazioni che hanno chiamato l’Alarm Phone sono state soccorse dalle guardie costiere europee dopo aver raggiunto autonomamente le zone SAR europee. In certi casi le guardie costiere sono intervenute rapidamente – come nel caso del 14 ottobre, quando una barca molto vicina a Lampedusa è stata soccorsa dalla guardia costiera italiana – ma nella maggior parte dei casi abbiamo assistito a ritardi nell’organizzazione di operazioni di soccorso e a pratiche inadeguate o addirittura illegali da parte delle autorità europee.[13]
Il 14 ottobre una imbarcazione con 76 persone a bordo è stata soccorsa dalle autorità maltesi dopo molte ore di omissione di soccorso e ritardi intenzionali nel condurre l’operazione di salvataggio.[14] Il 18 ottobre Malta ha orchestrato un’operazione illegale coordinando l’intercettazione di una barca che si trovava nella zona SAR maltese da parte della cosiddetta guardia costiera libica. Le 50 persone che avevano chiamato l’Alarm Phone sono state riportate di forza in Libia da una milizia libica.[15] La guardia costiera di Malta è responsabile della violazione di convenzioni sui diritti umani e delle convenzioni SAR.[16] Sebbene questo caso abbia ricevuto molta attenzione da parte dei media, non abbiamo ancora riscontrato ripercussioni nei confronti delle autorità maltesi. L’UNHCR ha promesso di avviare un’indagine ma non siamo a conoscenza di nessuna azione intrapresa in merito.
Negli ultimi mesi sono aumentate le critiche nei confronti del ruolo di Malta nel Mediterraneo, soprattutto dopo che a novembre è stato rivelato l’accordo segreto tra Malta e la Libia per impedire l’arrivo di migranti. Tuttavia Malta continua a ritardare le operazioni di salvataggio e nega la propria responsabilità nei confronti delle persone che si trovano in grave pericolo in mare.[17] Il 21 novembre 94 persone in fuga dalla Libia ci hanno chiamato nel momento in cui il loro gommone si stava sgonfiando. Le autorità italiane e maltesi sono state avvertite ma si sono rifiutate di assumersi la responsabilità per l’evento SAR. Due navi della flotta civile, la Open Arms e Aita Mari, hanno cercato il gommone tutta la notte, ma senza successo.[18] Il 29 novembre siamo stati chiamati da 70 persone su una barca di legno che si trovava nella zona SAR maltese. Le persone erano in panico e stavano imbarcando acqua. Abbiamo allertato sia l’Italia che Malta, ma nonostante la situazione di grave pericolo, non ci hanno mai confermato di aver dato inizio a un’operazione di ricerca e soccorso. Dopo aver perso contatto con la barca non abbiamo più avuto modo di sapere cosa sia successo.[19] Queste due barche sono ancora date per disperse, e temiamo che si tratti di due naufragi. Al contrario di altri naufragi che rimangono invisibili, in questi due casi le autorità erano a conoscenza della situazione di emergenza e della posizione GPS delle imbarcazioni in pericolo, ma hanno deciso di non intervenire.
Molte delle barche che ci hanno chiamato in situazioni di pericolo in mare sono state intercettate e riportate in Libia. Queste intercettazioni spesso sono avvenute dopo l’avvistamento della barca da parte di velivoli europei, che sono diventati fondamentali nel coordinamento di intercettazioni e respingimenti al largo della Libia. Alcune imbarcazioni sono state riportate indietro da navi mercantili, come riportato più avanti.
Come evidenzia il recente report di Forensic Oceanography, tali pratiche di ‘respingimento per delega’ non sono affatto insolite.[20] Nel 2019 migliaia di persone sono state rimandate con la forza verso zone di guerra dove i conflitti tra diverse fazioni si sono nuovamente intensificati nelle ultime settimane.
Naufragi e (in)visibilità selettiva
Non sappiamo quante persone abbiamo perso la vita nel Mediterraneo centrale negli ultimi tre mesi. Ciò che sappiamo è che le statistiche ufficiali diffuse da organizzazioni internazionali come OIM –spesso complici della violenza dei regime di frontiera europei – non sono accurate. Queste statistiche includono principalmente naufragi che sono stati documentati ufficialmente dalle autorità europee o del Nord Africa – come i naufragi del 7 ottobre e del 23 novembre al largo di Lampedusa costati la vita a più di 50 persone.[21] Altri naufragi non vengono inclusi in queste statistiche, nonostante siano stati segnalati da fonti attendibili come il pescatore libico che ha fornito una testimonianza accurata di un naufragio avvenuto il 21 novembre.[22] Il pescatore ci ha riferito di aver soccorso circa 30 persone, e che altre 70 sono morte. Questi 70 morti non appariranno mai nelle statistiche ufficiali: come centinaia di persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo nel 2019, le loro morti sono state rese invisibili e dimenticate.
Mentre i naufragi sono resi invisibili, tantissime risorse vengono investite nel rendere visibili, localizzare e sorvegliare le imbarcazioni di migranti che tentano di raggiungere l’Europa. Con lo scopo di coordinare intercettazioni da parte delle milizie libiche, il Mediterraneo è costantemente sorvegliato da velivoli e droni europei, spesso di Frontex o Eunavfor Med. Queste pratiche di visibilizzazione operano in modo selettivo: contestualmente, infatti, le violazioni di diritti umani vengono convenientemente nascoste al pubblico.
Oltre ad assistere le barche in pericolo, il ruolo di Alarm Phone è proprio quello di contrastare la visibilità selettiva dell’Europa: rendere visibili i naufragi che vengono cancellati ed evidenziare le violazioni dei diritti umani che l’Europa fa di tutto per nascondere. Per fare questo ascoltiamo migranti e pescatori le cui testimonianze ci hanno permesso di rendere visibili sia le intercettazioni di massa che avvengono anche nelle zone SAR europee che le omissioni di soccorso che sono risultate in tragici naufragi.
III. La creazione di frontiere nelle zone SAR
L’assegnazione di un porto sicuro (POS – Place Of Safety) a navi che hanno soccorso persone in fuga dalla Libia dovrebbe essere un processo semplice, che porta allo sbarco in Europa e alla possibilità di fare richiesta di asilo lì. Ciononostante per le autorità europee l’assegnazione di un porto di sbarco dipende dalla zona SAR in cui è avvenuto il soccorso.
Ad esempio, per le imbarcazioni in pericolo soccorse nella controversa zona SAR libica, gli Stati membri dell’UE fanno comunemente riferimento alla cosiddetta guardia costiera libica come autorità “competente” avrebbe la responsabilità di organizzare il ritorno in Libia delle persone soccorse, pur essendo a conoscenza delle condizione disumane da cui queste stesse persone sono fuggite. In questo contesto gli stati membri europei hanno interrotto ogni tipo di intervento di soccorso all’interno della zone SAR libica. Gli unici attori che rimangono attivi nella zona sono la flotta civile, le navi mercantili e la cosiddetta guardia costiera libica. La presenza delle autorità europee si limita al monitoraggio aereo per il coordinamento delle intercettazioni.
Normalmente la cosiddetta guardia costiera libica assegna Tripoli come porto sicuro per lo sbarco di persone soccorse dalle ONG, le quali non possono far altro che rifiutare dal momento che Tripoli non è affatto sicura. Di conseguenza le ONG chiedono porti sicuri in Europa.[23] Nonostante le promesse effettuate dopo il summit di Malta del settembre 2019, al momento non ci sono ancora procedure alternative. Legalmente la zona SAR libica è parte delle acque internazionali, e i singoli stati non hanno giurisdizione esclusiva nell’area.[24] Visto che nè Tripoli nè alcun altro porto in Libia possono essere considerati porti sicuri, forzare i migranti a tornare in Libia è una violazione di leggi internazionali e convenzioni per i diritti umani.[25] Varie campagne hanno denunciato la cooperazione illegale dell’Italia e dell’Unione Europea con la Libia (seguono dettagli).
Ogni volta che alle navi della flotta civile viene assegnato un porto sicuro (POS) in Europa in seguito ad un salvataggio nella zona SAR libica, viene invocata la clausola umanitaria che di solito significa un lungo stallo in mare. Sebbene attese superiori a dieci giorni non siano più così comuni, le navi delle flotte civile passano ancora troppi giorni in mare in attesa di un porto sicuro. Da agosto a novembre 2019, le navi delle ONG hanno dovuto attendere in media 5,9 giorni in mare dopo il salvataggio nella zona SAR libica prima che venisse data loro la possibilità di sbarcare a Malta o in Italia.
Nei casi in cui il soccorso è avvenuto all’interno delle zone SAR italiana o maltese, l’assegnazione di un porto sicuro è avvenuta più velocemente. Dopo le politiche dei porti chiusi di Salvini, negli ultimi mesi i porti italiani sono diventati più accessibili, in concomitanza con una maggior apertura dei porti maltesi. Nonostante questo, sia l’Italia che Malta continuano a fare di tutto per ostacolare il raggiungimento delle zone SAR europee, anche firmando accordi bilaterali con le autorità libiche. Il Memorandum d’intesa Italia–Libia sui migranti (Memorandum of understanding) del 2017 è stato prorogato in maniera automatica nel Novembre 2019 al fine di continuare le politiche di prevenzione e le collaborazioni con la Libia intraprese dai governi di Conte e Salvini.[26]
Un altro accordo è emerso il 10 novembre 2019. Alcune inchieste giornalistiche hanno rivelato un accordo segreto stipulato a giugno 2019 tra Malta e la cosiddetta guardia costiera libica.[27] Secondo questo accordo, Malta segnalerebbe alle autorità libiche la presenza di imbarcazioni di migranti che si spostano verso Malta in modo che i libici possano intercettarle prima che raggiungano la zona SAR maltese riportandole invece in Libia. Al fine di rilevare queste imbarcazioni in tempo, le Forze armate di Malta (AFM) effettuano regolari voli di sorveglianza tra la costa libica e la zona SAR maltese. Altri Stati membri dell’UE, in particolare l’Italia, e altri attori come Eunavfor Med e Frontex supportano attivamente queste operazioni di sorveglianza aerea con le loro flotte aeree. In questo modo, dall’inizio del 2019 alla fine di ottobre, gli stati membri e le istituzioni dell’UE sono direttamente responsabili del respingimento in Libia di 7.012 persone.[28]
Come dimostrato da Alarm Phone, la collaborazione tra Malta e Libia si spinge al di là di questi accordi. Il 18 ottobre siamo stati contattati da una barca con a bordo circa 50 persone che si trovavano in pericolo all’interno della zona SAR maltese. Come abbiamo documentato in dettaglio, in questo caso Malta stava sorvegliando la situazione via aerea. Anziché inviare una barca di salvataggio, ha aspettato che la cosiddetta guardia costiera libica intercettasse la barca all’interno della zona SAR di Malta, riportandola di forza in Libia.[29] Questo respingimento dall’interno di una zona SAR europea non è un’eccezione. Fonti giornalistiche hanno documentato che un ufficiale della cosiddetta guardia costiera libica ha ammesso apertamente di intervenire spesso all’interno delle zone SAR europee, al fine di riportare migranti in Libia.[30]
Le nostre segnalazioni di imbarcazioni in pericolo (MRCC Roma e RCC Malta) vengono spesso ignorate dalle autorità. Le autorità europee rifiutano di assumere responsabilità per questi eventi SAR e ci dicono di informare le autorità ‘competenti’, ovvero la cosiddetta guardia costiera libica che è spesso irraggiungibile per telefono o email, e che non soddisfa i requisiti dell’OIM in quanto ente di ricerca e soccorso. Spesso anche le guardie costiere italiane e maltesi non sono raggiungibili o non ci rispondono in modo adeguato, ad esempio rifiutando di condividere informazioni essenziali e venendo meno alla loro responsabilità di intervento in caso di barche in pericolo nel Mar Mediterraneo.
Sbarchi autonomi in Europa
Nonostante il business di intercettazioni e respingimenti al largo della Libia, i migranti tentano di superare il confine marittimo della zona SAR libica per raggiungere le zone di ricerca e soccorso italiane e maltesi. Questo significa intraprendere viaggi molto lunghi e rischiosi: la distanza tra la costa libica e la zona SAR di Malta è circa 100 miglia (185 km).
Negli ultimi mesi del 2019 ci sono stati vari sbarchi autonomi in Italia, anche se la maggior parte non sono stati resi pubblici. Dall’inizio dell’anno alla fine di novembre 2019, 5.600 persone hanno raggiunto l’Italia autonomamente. Di solito si tratta di persone provenienti dalla Tunisia, dall’Algeria, dalla Turchia o dalla Grecia che viaggiano su imbarcazioni relativamente meglio equipaggiate rispetto a quelle usate dalle persone che partono dalla Libia. Raramente i gommoni partiti dalla Libia sono in grado di raggiungere le coste europee in modo indipendente. Abbiamo documentato un caso eccezionale quando il 19 novembre siamo stati contattati da 45 persone su un piccolo gommone partito da Zawiya, in Libia, che sono riuscite ad arrivare a Lampedusa autonomamente.
IV. ‘Respingimenti privatizzati’ verso la Libia
Il 18 novembre 2019 Forensic Oceanography ha pubblicato un nuovo report sui respingimenti “privatizzati”: l’uso da parte dell’Italia di navi mercantili per respingere i migranti in Libia, una pratica consolidata sotto Salvini. Tra le molte altre fonti, per questa indagine sono stati utilizzati i casi riportati da Alarm Phone.[31] Il report è la base per una denuncia di fronte al Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite presentato da GLAN.[32] Nell’introduzione, il rapporto afferma:
“Nel novembre 2019, cinque mesi dopo che Matteo Salvini è stato nominato Primo Ministro e ha iniziato la politica dei porti chiusi per i migranti soccorsi nel Mediterraneo, un gruppo di 93 migranti è stato riportato in Libia dopo che sono stati soccorsi dalla Nivin, una nave mercantile battente bandiera di Panama: un respingimento che ha costituito una grave violazione di diritti umani e delle convenzioni internazionali per i diritti dei rifugiati (…). Questo caso esemplifica una pratica ricorrente che chiamiamo ‘respingimento privatizzato’. Questa nuova strategia è stata implementata dall’Italia in collaborazione con la cosiddetta guardia costiera libica a partire dalla metà del 2018, ed è una nuova modalità di respingimento per delega al fine di rafforzare i controlli di frontiera e di contenere il movimento di migranti provenienti dal Sud del mondo che cercano di raggiungere l’Europa. (…) Sia in questo caso che in altri casi documentati in questo report, il risultato di questa strategia è stato il respingimento di migranti in un paese in cui hanno subito gravi violazioni, risultando nella negazione del diritto di lasciare la Libia e di chiedere asilo in Italia. Attraverso questa strategia l’Italia ha violato il principio di non-refoulement, uno dei capisaldi del diritto internazionale dei rifugiati”.
Mappa dell’incidente Nivin, 7 novembre 2018. Immagine di Forensic Oceanography. Analisi GIS di Rossana Padeletti.
La mappa mostra il percorso dell’imbarcazione con i 93 migranti basata sulle due posizioni georeferenziate, la traccia AIS delle imbarcazioni nelle vicinanze.
Un caso di respingimento privatizzato che non è incluso nel report di Forensic Oceanography è avvenuto il 30 novembre 2019. Quel giorno la cosiddetta guardia costiera libica ha portato via con violenza 30 migranti che erano erano stati salvati nel Mediterraneo centrale dalla nave da rifornimento “OOC Panther” (della compagnia tedesca Opielok). Secondo il sito InfoMigrants, la OOC Panther aveva soccorso i migranti a circa 70 miglia dalla costa libica, vicino alla piattaforma petrolifera Bouri, e aveva poi chiesto l’assistenza della Ocean Viking che si trovava nelle vicinanze già con 60 migranti a bordo.[33] Quando una delegazione della Ocean Viking è poi salita a bordo della OCC Panther, l’equipaggio ha riferito che la cosiddetta guardia costiera libica era salita a bordo della nave e, armata e con violenza, aveva costretto i migranti soccorsi a trasferirsi sulla nave libiche per riportarli in Libia. Secondo quanto riferito da MSF, c’era panico a bordo e due persone si erano buttate in mare ma erano poi state soccorse. Un’altra persona si è cosparsa di benzina e minacciava di darsi fuoco. SOS Mediteranée ha dichiarato che le autorità hanno impedito alla Ocean Viking di prendere a bordo i migranti.
Questo caso mette in luce il dilemma in cui spesso si trovano le navi mercantili. Compagnie come la Opielok, le cui navi nel 2014/2015 hanno soccorso migliaia di migranti portandoli in Europa, al giorno d’oggi sono costrette a consegnare coloro che vengono soccorsi alle autorità libiche.[34] Nel marzo 2015 le associazioni degli armatori hanno scritto una petizione per chiedere supporto ai capi di stato, sottolineando che ‘tutti gli stati membri dell’UE e dello SEE hanno la responsabilità collettiva di prevenire la perdita di altre migliaia di vite” e che le navi mercantili non erano in grado di soccorrere tutte le barche in pericolo che incontravano una volta terminata l’operazione Mare Nostrum.[35] Al momento ci sono discussioni tra gli armatori tedeschi, le ONG di ricerca e soccorso e Alarm Phone, i quali hanno iniziato ad affrontare il dilemma e a promuovere collaborazioni contro le morti in mare e i respingimenti in Libia.
Il caso della OOC Panther è un altro esempio di come i migranti tentano di resistere ai respingimenti verso la Libia. In precedenza abbiamo documentato casi del genere, come quando si sono rifiutati di sbarcare dalla Nivin o dalla Lady Sham (20 gennaio 2019). Anche se in questi casi non hanno ottenuto risultati, ci sono state altre situazioni in cui la resistenza e le lotte dei migranti sono riuscite a prevenire respingimenti verso l’inferno della Libia, come nel caso della Vos Thalassa (8 luglio 2019) e dell’ElHiblu 1 (25 marzo 2019). Quest’ultimo caso è ancora oggetto di procedimenti giudiziari a Malta, dove tre adolescenti sono accusati di vari crimini gravi. Gli avvocati dei cosiddetti ‘ElHiblu 3’ hanno richiesto la loro liberazione su cauzione. Sette mesi dopo il fallimento della prima richiesta, il giudice Aaron Bugeja ha concesso la libertà provvisoria il 15 novembre. Anche se non sono stati ancora condannati, i tre adolescenti vivono ora sotto una serie di severe restrizioni, e rischiano ancora di dover scontare una lunga sentenza in prigione qualora venissero giudicati colpevoli.
In un comunicato stampa pubblicato da diverse organizzazioni, incluso Alarm Phone, si richiede la libertà e tutela dei tre ragazzi che non hanno solo salvato loro stessi, ma che hanno anche impedito che altre 105 persone fossero riportate all’inferno e alle condizioni disumane dei campi libici:
https://sea-watch.org/wp-content/uploads/2019/11/Statement_BailDecision_EH3.pdf
V. Messaggi dai detenuti Libia
“Preferiamo morire che tornare in Libia!” – troppo spesso sentiamo queste frase pronunciata da persone che chiamano l’Alarm Phone da barche in pericolo. Negli ultimi mesi abbiamo ricevuto sempre più chiamate provenienti direttamente dai campi libici da detenuti che ci chiamano per riferire le condizioni disumane in cui si trovano.[36] I detenuti ci raccontano le violenze subite, le condizioni di salute, la miseria in cui si trovano, la paura. Ci dicono di sentirsi soli e abbandonati e che non c’è nessuno ad aiutarli.
“Ci fanno morire di fame” è stato scritto in inglese, su un materasso, con del concentrato di pomodoro. Questa foto, scattata nel maggio 2019 da un telefonino nascosto, mostra una stanza buia con cumuli di spazzatura e circa 200 uomini eritrei sfiniti con con delle croci sulle magliette, disegnate anche queste con del concentrato di pomodoro.[37] I detenuti del campo di Zintan hanno organizzato questa protesta per far sapere al mondo esterno le condizioni in cui si trovano e per richiedere libertà. Foto simili della protesta sono state pubblicate da testate internazionali.[38] Queste immagini e queste testimonianze non sono un’eccezione. Negli ultimi anni i detenuti dei campi libici sono riusciti a rendere visibili le loro condizioni attraverso proteste e raccontando le loro storie sui social con testimonianze scritte, fotografie, messaggi video.[39] Le drammatiche testimonianze degli attacchi aerei contro il campo di Tajoura a Tripoli, o delle sparatorie a Qasr bin Ghashir sono riuscite a raggiungere un pubblico internazionale, ma cos’è cambiato?[40]
Abusi in detenzione e il ruolo delle organizzazioni internazionali
Come inchieste recenti hanno rivelato ancora una volta, da ormai molto tempo i detenuti hanno accusato l’UNHCR libica di essere complice di coloro che gestiscono i campi nascondendo gli abusi, trascurando o ignorando volontariamente le loro condizioni e richieste, e rifiutando di accelerare le procedure di registrazione necessarie per il reinsediamento[41]. Gli interventi dell’UNHCR in Libia sono limitati, poichè la maggior parte dei campi è gestita dalle autorità libiche e controllata da milizie. Tuttavia l’UNHCR mantiene i riflettori sui presunti ‘successi’ di evacuazioni di migranti al di fuori della Libia – una foglia di fico per l’UE da cui l’UNHCR dipende finanziariamente e in termini di cooperazione.
Molte di queste evacuazioni non risultano nel trasferimento in paesi europei, ma in paesi africani come il Niger e il Rwanda dove la maggior parte di rifugiati rimane bloccata nell’attesa di ricevere asilo o di trasferimento in un paese terzo[42]. Nel 2019 l’UNHCR ha fornito assistenza a 1.410 rifugiati attraverso programmi di evacuazione, e ad altri 764 rifugiati con trasferimenti in stati membri dell’Unione Europea e in Canada[43]. L’Europa non manca di celebrare anche i ‘rimpatri volontari’ offerti dall’OIM, nonostante ci sia molto poco di ‘volontario’ in questi rimpatri. Alla fine di dicembre 2019 più di 9.600 persone sono state riportate a condizioni spesso precarie in paesi africani e asiatici. Una volta rimpatriati ‘volontariamente’ molti decidono di partire di nuovo in un altro tentativo di raggiungere l’Europa[44].
Gli enormi ritardi nelle evacuazioni gestite dall’UNHCR hanno spinto negli ultimi mesi centinaia di migranti a recarsi al nuovo UNHCR “Gathering and Departure Facility” (Centro di raccolta e partenza) di Tripoli per richiedere avanzamenti nel loro processo di evacuazione. Molti altri rimangono nella struttura solo perchè hanno bisogno di un riparo in mancanza di posti sicuri in un paese lacerato dalla guerra dove alcuni dei centri in cui erano detenuti sono stati distrutti. L’agenzia delle Nazioni Unite ha deciso di chiudere il suo centro all’inizio del 2020 poiché non è in grado di mantenere il centro sovraffollato. Per costringere le persone a uscire, l’UNHCR ha già interrotto la fornitura di cibo e offre supporto materiale solo a coloro che accettano di andarsene[45].
VI. Il Processo “Left-to-Die” a Roma
Il naufragio del 3 ottobre 2013 vicino a Lampedusa che ha causato oltre 360 vittime è rimasto nella nostra memoria collettiva, ma non è stato così per il naufragio che si è verificato solo otto giorni dopo. L’11 ottobre 2013, oltre 250 persone sono morte in mare. Molte donne, uomini e bambini sono annegati, nonostante le guardie costiere italiana e maltese fossero state avvisate più volte del disastro imminente. Dalla nave in grave pericolo, un medico siriano ha supplicato disperatamente via telefono satellitare che le persone fossero salvate, ma le autorità non hanno reagito adeguatamente alle sue richieste di SOS. Invece, le autorità italiane e maltesi hanno discusso per ore su di chi fosse la responsabilità del salvataggio. Quando le navi di soccorso arrivarono cinque ore dopo, la barca si era già capovolta e molte persone erano già annegate.
Sei anni dopo, questo caso di operazione di salvataggio deliberatamente ritardato è stato esaminato davanti a un tribunale penale a Roma. Diversi ufficiali della guardia costiera italiana e della marina sono stati accusati. Oltre al ritardo nel coordinamento del salvataggio, una nave della marina italiana si trovava nelle vicinanze del luogo della tragedia ma non era intervenuta. Numerosi sopravvissuti che hanno perso familiari hanno partecipato all’azione legale. Sperano che questa ingiustizia e questo atto omicida di omissione di soccorso non rimangano impuniti.
Qui puoi trovare la nostra dichiarazione completa sul processo:
https://alarmphone.org/en/2019/12/02/left-to-die-trial-in-rome/
VII. Quarto incontro del Palermo Charter Platform Process a Bologna
Il 28 e 29 novembre 2019 a Bologna, un gruppo di ONG di salvataggio, organizzazioni della società civile, attivisti e rappresentanti di città europee si sono riuniti per rafforzare il nostro lavoro nel Mar Mediterraneo e la collaborazione transnazionale tra città solidali in Europa. La nostra rete è nata a Palermo nel 2018 nello spirito della Carta di Palermo, con la sua richiesta fondamentale di diritto alla mobilità. Il nostro slogan continua ad essere: “Dal mare alle città!”
Questo è stato il quarto incontro del Palermo Charter Platform Process. Combattiamo la violenza in atto prodotta dal regime di frontiera europeo, cerchiamo di promuovere corridoi di solidarietà per i migranti affinché raggiungano le destinazioni desiderate e partecipiamo alla costruzione in tutta Europa di città accoglienti e solidali.
Dopo Palermo, Napoli e Barcellona, questa volta ci siamo riuniti a Bologna, una delle città in cui nel 2018 è nata Mediterranea e dove migliaia di persone attualmente scendono in strada per combattere contro Salvini e la sua Lega.
Qui puoi trovare la nostra dichiarazione completa sull’incontro:
https://alarmphone.org/en/2019/11/29/fourth-meeting-palermo-charter-platform-process-in-bologna/
__________________
[1] https://sea-watch.org/wp-content/uploads/2019/11/Statement_BailDecision_EH3.pdf?fbclid=IwAR2WlGvCdhGV_ZpPSMefJi4XB8XYgp-sA_ryNmvHIlFH2DNjtYZnwDYOq9Y
[2] https://twitter.com/openarms_found/status/1181105347454521344
[3] https://twitter.com/MSF_Sea/status/1183155170093535234,
https://twitter.com/MSF_Sea/status/1183373679276843008,
https://twitter.com/alarm_phone/status/1183361278120738816
[4]https://twitter.com/MSF_Sea/status/1197132224652619780
https://twitter.com/alarm_phone/status/1188068966020845573?s=09
[5] https://twitter.com/MSF_Sea/status/1196713347015675904
https://twitter.com/alarm_phone/status/1196720346780581888
https://www.aljazeera.com/news/2019/11/ocean-viking-rescues-94-people-libya-coast-191119115225387.html
[6] https://twitter.com/alarm_phone/status/1200074764460666883
https://twitter.com/seaeyeorg/status/1200117831364419585?s=19
https://twitter.com/alarm_phone/status/1200198403566850048
https://twitter.com/msf_sea/status/1200183530204073984?s=12
[7] https://twitter.com/alarm_phone/status/1208345147756490758
[8] https://twitter.com/alarm_phone/status/1208736731425640448
[9] https://twitter.com/alarm_phone/status/1210486404633055232
[10] https://twitter.com/seaeyeorg/status/1201492542199611395
https://twitter.com/alarm_phone/status/1202279626019680257
https://twitter.com/SOSMedIntl/status/1202243954256859136
https://twitter.com/seaeyeorg/status/1202646949062758400
https://twitter.com/MSF_Sea/status/1189158719801774080?s=09
[11] https://twitter.com/seawatch_intl/status/1211583845964943363
[12] Questi dati sono approssimati per difetto. Riteniamo che il numero stimato di casi non rilevati/non segnalati sia molto più elevato. Soprattutto quando si tratta di intercettazioni da parte della cosiddetta guardia costiera libica, crediamo che molte intercettazioni rimangano nascoste.
[13] https://twitter.com/alarm_phone/status/1183634134071201792
[14] https://twitter.com/alarm_phone/status/1183842900058226689?s=09
https://newsbook.com.mt/en/malta-fails-to-assist-75-people-in-distress-alarm-phone
https://www.maltatoday.com.mt/news/national/98045/malta_requested_to_rescue_75_people_at_sea#.XaXxSc6P6P
https://morningstaronline.co.uk/article/w/activists-slam-malta-delayed-rescue-of-refugees-who-were-adrift-at-sea-since-sunday
[15] https://twitter.com/alarm_phone/status/1185306383840878593
https://apnews.com/24b51f7a5aa54441bedb9a04fa9d6b9b
https://www.spiegel.de/politik/ausland/fluechtlinge-im-mittelmeer-schwere-vorwuerfe-gegen-malta-a-1292966.html#ref=rss
https://www.infomigrants.net/fr/post/20377/malte-permet-a-des-garde-cotes-libyens-d-entrer-dans-sa-zone-de-sauvetage-pour-intercepter-des-migrants
[16] https://alarmphone.org/en/2019/10/23/back-to-the-libyan-warzone/
[17] https://timesofmalta.com/articles/view/exposed-maltas-secret-migrant-deal-with-libya.748800
https://uk.reuters.com/article/uk-europe-migrants-malta/malta-has-deal-with-libya-coastguard-over-migrant-interceptions-report-idUKKBN1XK0BH?fbclid=IwAR2srjx9sgy0FQ52CyS6_0GjMVRy9YFvuuR3lo8u_2PtW4wME7UveFT1374
[18] https://twitter.com/alarm_phone/status/1197604829398491136
[19] https://twitter.com/alarm_phone/status/1201770593269493761
[20] https://forensic-architecture.org/investigation/nivin
[21] http://www.ansa.it/amp/sicilia/notizie/2019/10/07/migranti-naufragio-davanti-lampedusa_d819636e-8900-400d-a286-bd6efd7d1b70.html?__twitter_impression=true
https://twitter.com/alarm_phone/status/1198305632937484288
[22] https://alarmphone.org/en/2019/11/26/four-days-of-struggle/
[23] Dopo che Ocean Viking ha inviato una richiesta per un porto sicuro, il JRCC libico ha offerto Tripoli. Ocean Viking ha rifiutato Tripoli come porto sicuro poiché i porti libici non sono conformi alla definizione di “Place of Safety” (porto sicuro) e hanno richiesto un porto sicuro dove attraccare a ITMRCC e MTJRCC
https://onboard.sosmediterranee.org/sections/operations/ocean-viking-215-survivors-19-november-2019-disembarkation-messina/
[24] Convenzione SAR allegato 2.1.7: “La delimitazione di regioni di ricerca e salvataggio non è legata a e non pregiudica la delimitazione di eventuali confini tra Stati”. La Libia non ha però firmato la Convenzione SAR.
[25] https://treaties.un.org/Pages/ViewDetails.aspx?src=TREATY&mtdsg_no=IV-9&chapter=4&clang=_en – Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti (art. 3,1)
https://treaties.un.org/Pages/ViewDetailsII.aspx?src=TREATY&mtdsg_no=V-2&chapter=5&Temp=mtdsg2&clang=_en – Convenzione di Ginevra Art 33 (1)
[26] https://eumigrationlawblog.eu/wp-content/uploads/2017/10/MEMORANDUM_translation_finalversion.doc.pdf
[27] https://timesofmalta.com/articles/view/exposed-maltas-secret-migrant-deal-with-libya.748800
[28] EunavforMed afferma di aver permesso alla cosiddetta guardia costiera libica di intercettare 19.775 persone nel 2017, 12.852 nel 2018 e 7.021 nel 2019 (al 30 di ottobre).
https://www.internazionale.it/notizie/lorenzo-bagnoli/2019/11/13/italia-libia-guardia-costiera?fbclid=IwAR02YWSureAqJF1g69QAAzjDnWiqosfJePIIOj6zxZVSMU34wZ1-unBBjac
[29] Comunicato stampa di Alarm Phone: Ritorno alla zona di guerra libica – In che modo Malta ha incaricato le autorità libiche di intercettare 50 migranti all’interno della zona SAR maltese
https://Alarm Phone.org/en/2019/10/23/back-to-the-libyan-warzone/
[30] https://www.france24.com/en/africa/20191209-reporters-plus-libya-the-infernal-trap-conflict-frontlines-militias-tripoli-plight-migrants trascrizione min 15:04-15:10: “ma a telecamere spente, una delle guardie costiere libiche ci dice che a volte intervengono nelle acque europee”.
[31] https://forensic-architecture.org/investigation/nivin
[32] https://www.glanlaw.org/nivincase
[33] https://www.infomigrants.net/en/post/21241/rescued-migrants-taken-from-supply-ship-by-libyan-coast-guard
[34] Un’eccezione è stata il caso Asso Trenta in cui le persone soccorse da una nave commerciale sono sbarcate rapidamente in Italia https://twitter.com/alarm_phone/status/1190951700473008130?s=12
[35] https://www.ics-shipping.org/docs/default-source/Submissions/EU/attachment-to-press-release.pdf?sfvrsn=2
[36] https://www.msf.org/libya%E2%80%99s-cycle-detention-exploitation-and-abuse-against-migrants-and-refugees
[37] https://foreignpolicy.com/2019/10/10/libya-migrants-un-iom-refugees-die-detention-center-civil-war/
[38] https://www.channel4.com/news/starvation-disease-and-death-at-libya-migrant-detention-centre, https://www.aljazeera.com/indepth/features/urgent-refugees-perish-libyan-detention-centre-190606185251273.html, https://apnews.com/43eb47c8ce6b4946a91f8c37f41c7cbe
[39] https://foreignpolicy.com/2019/10/10/libya-migrants-un-iom-refugees-die-detention-center-civil-war/
[40] https://www.aljazeera.com/news/2019/07/libya-migrants-recount-horrors-tajoura-detention-centre-attack-190704053421671.html
https://www.theguardian.com/world/2019/apr/25/libya-detention-centre-attack-footage-refugees-hiding-shooting
https://www.youtube.com/watch?v=AnCP6XCmgjs
https://foreignpolicy.com/2019/10/10/libya-migrants-un-iom-refugees-die-detention-center-civil-war/
https://twitter.com/GiuliaRastajuly/status/1187662343645401088
[41]La registrazione attualmente avviene solo all’interno dei centri di detenzione ed è limitata a nove nazionalità.
https://www.unhcr.org/blogs/registration-is-a-right-for-refugees/.
Le informazioni riguardo all’accettazione di un rifugiato per il reinsediamento impiegano 1-2 anni e possono essere fornite solo dall’interno del centro di detenzione non all’esterno. UNHCR in Libia parte 1-4:
https://www.euronews.com/2019/10/02/unhcr-in-libya-part-1-from-standing-withrefugees-to-standing-withstates
[42] Nel dicembre 2017 il Niger ha accettato fino a 1.000 rifugiati dalla Libia tramite l’Emergency Transit Mechanism (ETM), il meccanismo di transito di emergenza:
https://taz.de/Fluechtlingslager-in-Niger/!5587976/.
“Dal 2017, oltre 2.900 rifugiati e richiedenti asilo sono stati evacuati in Niger, ma mentre l’UE ha promesso di fornire percorsi sicuri e i paesi dell’UE hanno accettato di ospitarli, le promesse di reinsediamento non vengono rispettate”:
https://twitter.com/saracreta/status/1206572587947565057.
Per uno studio dettagliato sugli effetti dell’ETM e dei reinsediamenti in Niger da parte dell’ASGI, vedi:
https://www.statewatch.org/news/2019/jul/ASGI%20Resettlement%20ETM%20-%20ENGLISH.pdf
Nel settembre 2019 il Ruanda ha accettato di trasportare fino a 30.000 rifugiati dalla Libia tramite ETM. Circa 100 persone sono arrivate in Ruanda fino a settembre 2019:
https://www.theguardian.com/global-development/2019/sep/10/hundreds-refugees-evacuated-libya-to-rwanda
[43] https://de.euronews.com/2019/09/13/unhcr-rettet-knapp-100-fluechtlinge-aus-libyschen-gefangenenlager#.
Nel 2019 ad oggi, il 6 dicembre, 2.184 rifugiati e richiedenti asilo hanno lasciato la Libia, 774 di loro per reinsediamento e 1.410 in base al programma di evacuazione:
https://reliefweb.int/report/libya/unhcr-update-libya-6-december-2019-enar.
La Germania ha accolto 9 persone provenienti dalla Libia tramite reinsediamento nel 2019:
https://resettlement.de/aktuelle-aufnahmen.
[44] 8.946 migranti sono stati riportati in Africa e in Asia dall’OIM fino al 30 novembre 2019:
https://www.iom.int/sites/default/files/situation_reports/file/iom_libya_update_16-30_november_2019.pdf
Nel 2019, il programma IOM di rimpatrio umanitario volontario (VHR) ha finora assistito più di 9.600 migranti bloccati in Libia per tornare a casa:
https://twitter.com/IOM_Libya/status/1208002841656406016
[45] https://www.thenewhumanitarian.org/investigation/2019/12/10/UN-migrants-Libya-transit-centre-project?utm_source=twitter&utm_medium=social&utm_campaign=social
https://www.theguardian.com/global-development/2019/nov/28/refugees-being-starved-out-of-un-facility-in-tripoli
https://apnews.com/7e72689f44e45dd17aa0a3ee53ed3c03