Condanniamo fermamente il proseguimento del conflitto in Sudan, iniziato il 15 aprile 2023, e chiediamo ai leader dell’esercito e delle Forze di Supporto Rapido (RSF) di avviare un dialogo costruttivo e pacifico, mirato a raggiungere un governo civile.
Mentre la guerra in Sudan continua, molte persone hanno lasciato le loro case per altre città, regioni e paesi. La situazione provocherà un aumento del numero di persone in mare in fuga dai conflitti in Sudan e di molte altre in fuga da altri paesi, dalla persecuzione, dall’oppressione e dal servizio militare obbligatorio.
Chiediamo all’Unione Europea di sostenere chi fugge da questi conflitti, di consentire la libertà di movimento e di fornire assistenza a coloro che, per raggiungere un luogo più sicuro, si ritrovano in pericolo in mezzo al mare.
Con il suo contributo alla militarizzazione del Sudan, l’UE è complice di questo conflitto mortale e devastante. Il Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa (EUTF) ha stanziato centinaia di milioni di euro per il Processo di Khartoum, un progetto di esternalizzazione e securitizzazione delle frontiere che mira a far svolgere ai paesi africani il “lavoro sporco”, quello della brutalità alle frontiere. Questi soldi sono stati in gran parte destinati al controllo delle frontiere, un compito assegnato alle RSF dal governo del Sudan, ora una delle parti in guerra [1].
Chiediamo all’Europa e al Regno Unito di mettere fine alla criminalizzazione delle persone richiedenti asilo che arrivano sulle sue coste e di abolire le leggi che aiutano a deportarle o a riportarle nei paesi da cui sono fuggite.
Insieme ai membri della diaspora sudanese in Europa che hanno sottoscritto la petizione qui di seguito:
“Chiediamo all’UE, ai legislatori europei e alla società civile europea, compresa la Croce Rossa, di mettere fine a tutte le forme di sostegno alla guerra in Sudan e di impegnarsi concretamente per porre immediatamente fine al conflitto. Chiediamo l’applicazione integrale delle disposizioni della Convenzione di Ginevra, compresa la immediata creazione di corridoi umanitari e di rotte sicure all’interno e fuori dalle zone di combattimento”.