"Ciao amico, qui è l’Alarm Phone" - Come le nostre voci trasmettono solidarietà e fiducia alle persone in mare

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Questo articolo è apparso originariamente in “Dal mare alle città – 5 anni di Alarm Phone

 

Foto: Mediterranea

Quando parli con chi si trova su una barca in difficoltà, non hai nient’altro che la tua voce e generalmente pochissimo tempo per comunicare. Ci sono state più di 2.500 conversazioni telefoniche o chat su WhatsApp con persone in mare in tutte e tre le regioni del Mediterraneo. Alcune di queste sono state documentate nei minimi dettagli, trascrivere ogni singola informazione ci aiuta sicuramente a non soccombere all’angoscia. Altre conversazioni invece sono rimaste nelle chat di WhatsApp e su alcuni telefoni, fino a quando quei telefoni non hanno smesso di funzionare. Altre ancora sono rimaste solo una traccia impressa nei ricordi di due persone. Questo articolo è il tentativo di condividere alcune esperienze: spiegare come le nostre voci possono mostrarsi solidali, come costruire relazioni a breve termine e come riuscire a rassicurare le persone, infondendo loro forza nei momenti più difficili.

Nel giro di cinque anni abbiamo imparato quanto le piccole cose possano essere decisive per la comprensione reciproca. Iniziare una conversazione con “Ciao amico”, spiegando chi siamo, è una di queste. In questo modo gli stiamo dando il ‘benvenuto’ in un momento in cui tutto sembra andare contro. Mettiamo in chiaro che noi non siamo la polizia, né la guardia costiera. Siamo io e te, ed ora comunicheremo, prendendoci insieme il tempo necessario per capire cosa fare.

A volte abbiamo difficoltà a comprenderci a vicenda – non solo a causa delle barriere linguistiche. L’angoscia strozza la voce e il panico può rendere le parole incomprensibili se sei spaventato a morte. Uno dei compiti più importanti è quello di interrompere velocemente la spirale di paura, in modo che sia possibile parlare e capirsi. Abbiamo imparato con il tempo quanto le ripetizioni possano essere d’aiuto quando parli con chi è in preda al panico.

Incredibilmente, nonostante gli ostacoli, siamo spesso in grado di avviare una conversazione. A volte è possibile trasmettere solidarietà attraverso il suono della voce e una volta terminata la conversazione, quella voce continuerà a riecheggiare nelle tue orecchie.

A volte si tratta di brevi scambi della durata di tre minuti o anche meno… Una donna grida al telefono: “Hallelujah, sono arrivati! Siamo al sicuro!” Il grido di vittoria ‘BOOOOZA’, pronunciato da chi arriva in Spagna è sicuramente qualcosa di impossibile da dimenticare. A volte puoi ricevere un “grazie siamo al sicuro” con pollice in alto o uno smile su WhatsApp.

Altre volte invece, il silenzio. La batteria si è scaricata o il telefono è stato gettato in mare, per evitare che finisca nelle mani della guardia costiera. A volte è la voce stessa ad essere stata messa a tacere dall’acqua del mare. Questi sono i momenti in cui il silenzio può spezzarti il cuore.

Costruiamo relazioni che dureranno per lo più fino al termine dell’ultima chiamata. Raramente, e solo quando siamo fortunati, abbiamo il tempo di dire arrivederci. Arrivederci può essere un modo per dire “benvenuto in Europa” oppure “la prossima volta, inshallah, ce la farai” – attraverso la voce cerchiamo di trasmettere quanta più energia e forza possibile.

Non dimenticherò mai un caso nel Mediterraneo centrale, la notte tra il 29 e il 30 maggio 2019. Iniziato il turno, la squadra del turno precedente ci passò un caso di emergenza. Una barca con 90-100 persone, tra cui circa 20 donne e 15 ragazzi, era quasi arrivata nella zona di ricerca e salvataggio maltese. Erano già stati avvistati nella stessa giornata dall’aereo della ONG “Moonbird”. Un aereo militare volava sopra l’imbarcazione e una barca della Marina Militare Italiana (P 490) era nelle vicinanze. Tuttavia, l’Italia e Malta non risposero alle nostre richieste di soccorso. Ci mettemmo in contatto con la barca:

23:47 (29.5.2019) Abbiamo parlato con le persone sulla barca: “Siamo esausti. Uno dei tubolari del gommone è scoppiato, l’acqua sta entrando nella barca, non sopravviveremo molto …. Se dobbiamo aspettare tutta la notte, nessuno di noi sarà vivo domani.”

00:13 (30.5.2019) Li chiamo di nuovo: “Fa troppo freddo. I bambini soffrono, abbiamo paura. Sono bagnati e congelati. Ci sono quindici bambini, il più giovane è di 9 mesi, poi 3 anni, 4… Abbiamo cercato di spostarli nel punto della barca dove c’è meno acqua. Ma la barca non è stabile, quindi muoversi è difficile. Ci sono circa venti donne. Sono forti, ma una donna incinta sta molto male”.

 Parlammo con familiarità, come se ci conoscessimo da molto tempo. Ore dopo, quando misi il telefono in modalità vivavoce, non riuscendo più ad ascoltare senza condividere tutta quella sofferenza, il mio compagno di turno si rese conto che la voce dall’altro capo del telefono assomigliava a quella di un amico, un vecchio amico conosciuto mentre lottavamo contro alcune deportazioni insieme ad un gruppo di rifugiati auto-organizzati. La voce dell’uomo al telefono era una versione più giovane della voce del nostro amico e sembrava costruire un ponte di amicizia.

00:47 In contatto con l’imbarcazione, Sono davvero sfiniti: “Alcune persone sono in preda al panico. Altre hanno perso il controllo”. Decidiamo di non nascondere la verità: le guardie costiere non ci dicono quando andranno in loro soccorso. Lui dice: “Non va bene per noi, non ci salveranno. Brutto segno.” Tuttavia è d’accordo con noi, è importante dare speranza alle persone a bordo per evitare ulteriore panico che sarebbe pericoloso.

01:20 Parliamo di nuovo con la barca – ancora una volta non possiamo prevedere quando arriverà la guardia costiera. Ci dice: “E’ così fottutamente disumano quello che ci stanno facendo. Siamo qui in mare da più di un giorno ormai. Sono venuti con aeroplani, elicotteri e tutto il resto. Sanno dove siamo, ma aspettano solo che i libici vengano a prendere i nostri cadaveri domani. Quelli che però saranno ancora vivi, probabilmente si getteranno in acqua, perché è meglio morire che tornare in Libia. Almeno permettano a qualche barca da pesca di venire a salvarci! Ci risparmino di morire! Che ci portino in una qualsiasi prigione di merda. Ma questa situazione qui è così disumana, non puoi immaginare quanto stiamo soffrendo”.

Gli assicuriamo che saremmo rimasti con loro fino alla fine, qualunque cosa fosse accaduta. Avremmo continuato a chiamare la guardia costiera e raccontato con ogni mezzo quanto stava accadendo, facendo ancora più pressione. Ci ringraziò per la nostra vicinanza.

04:50 “Il sole sta sorgendo ma siamo ancora soli, non si vede nessuna barca”.

Lo sentiamo esausto, c’è calma in sottofondo come se avessero esaurito ogni energia. E’ un silenzio mortale e noi ripetiamo che siamo con loro.

07.50 Ci chiamano di nuovo: “Siamo così stanchi”. Gli diciamo che abbiamo lanciato una campagna per fare pressione in Italia e contattato i parlamentari, i media, ecc. Gli comunichiamo anche che c’è una nave mercantile a 1-2 ore di distanza e che stiamo facendo pressione affinché cambi rotta per andare a salvarli.

08.00 Chiamata dalla barca: “E’ morta una bambina di 5 anni.” Sentiamo le urla in sottofondo. “Un tubolare sta perdendo aria. Speriamo che la barca possa raggiungerci”.

Accadde quello che succede sempre in queste situazioni: si cerca di convincersi che non sia vero, che si tratta solo di un modo per spingerci a fare più pressione, rimane la speranza che non sia morta una bambina. In questo caso successivamente non si è mai saputo cosa fosse accaduto realmente. La morte della bambina di 5 anni non è stata mai confermata, anche se le persone a bordo dichiararono, dopo lo sbarco, che molti erano morti durante il viaggio.

08:19 La barca ci chiama di nuovo: “Vediamo una nave. È lontana ma grande. Arriva dalla direzione in cui è sorto il sole”. Si può sentire l’emozione a bordo.

08:30 Chiamata dalla barca. “Sulla nave è scritto P490″. Istruiamo le persone su come prepararsi al salvataggio.

09:05 La connessione è disturbata, ma ci dicono che sta iniziando il salvataggio. “Arrivederci”, ci dice.

Le ultime parole condivise erano desideri: “Spero che possiate raggiungere l’Italia in maniera sicura. Stai bene! Arrivederci! Speriamo di rivederci ancora, lontano da lì, da qualche parte in Europa”.

Benvenuto amico mio e arrivederci. Spero che un giorno arriverai in un luogo sicuro e forse, chissà, ci incontreremo da qualche parte per la strada senza sapere di aver condiviso questa esperienza insieme. E forse, un giorno, un altro militante per la libertà di movimento ci ricorderà questa lotta   attraverso il suono di una voce che ci ricorda un vecchio amico.