Presentato esposto per accertare le responsabilità per la morte di 130 persone nel Mediterraneo centrale
La ricostruzione di Border Forensic
Il 22 aprile 130 persone hanno perso la vita a largo della Libia. Per accertare l’eventuale rilevanza penale delle condotte che hanno configurato il naufragio, i rappresentanti di alcune organizzazioni ed alcuni avvocati [il Comitato Nuovi Desaparecidos, la Fondazione Open Arms, l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione Asgi, Alarm Phone, Mediterranea Saving Humans, l’Arci, Progetto Diritti e, in proprio, il senatore Gregorio De Falco, gli avvocati Alessandra Ballerini, Emiliano Benzi, Michele Calantropo, Stefano Greco, Serena Romano, Arturo Salerni] hanno presentato un esposto indirizzato alla Procura di Roma.
Border Forensic ha di recente ricostruito la vicenda in un documento pubblicato oggi.
È indispensabile mettere a fuoco qual è il ruolo specifico degli attori, pubblici e privati, nazionali ed Europei, che operano nel Mediterraneo centrale che, con il loro comportamento attivo o omissivo, contribuiscono in maniera determinante a causare i naufragi. Ripercorrere brevemente alcuni degli eventi salienti andati in scena tra il 21 e il 22 aprile è necessario per dare un senso politico all’ennesima morte collettiva in mare e riflettere sulle responsabilità delle istituzioni coinvolte.
Grazie ad Alarm Phone abbiamo puntuale notizia delle difficilissime condizioni in cui, fin dal 21 aprile, navigava il gommone con a bordo le 130 persone. A partire dal primo contatto telefonico tra l’imbarcazione e gli attivisti, si susseguono, uno dopo l’altro, i molteplici tentativi degli operatori di Alarm Phone di far sì che le autorità si attivassero per raggiungere il gommone e salvare le persone. Segue una drammatica serie di telefonate tra le persone imbarcate e gli operatori, nell’ambito delle quali i migranti raccontano del rapido peggioramento delle condizioni del mare, del panico a bordo e dell’esaurimento della batteria del telefono satellitare.
Alarm Phone ha provato incessantemente a sollecitare il soccorso, ma le autorità Italiane e Maltesi non hanno intrapreso alcuna azione funzionale al salvataggio, né la cd. Guardia Costiera libica ha soccorso le persone. Alarm Phone ha provato anche a contattare l’armatore del mercantile M/N Bruna, che navigava non distante dal gommone, ma neanche l’imbarcazione privata è intervenuta in soccorso.
Con l’ulteriore peggioramento delle condizioni di navigazione, Alarm Phone ha provato a sollecitare l’intervento di Frontex, che con il suo aereo di base a Lampedusa avrebbe potuto facilitare l’individuazione del gommone, ma ancora una volta la richiesta degli attivisti non ha avuto riscontri.
L’esaurimento della batteria del telefono satellitare ha impedito ulteriori comunicazioni con le 130 persone. L’imbarcazione Ocean Viking, intervenuta per provare a prestare soccorso, si è imbattuta, il 22 aprile, nei corpi dispersi in mare.
È davvero difficile parlare di tragedia se l’atto finale – 130 persone perse in mare senza vita – è il puntuale effetto del mancato intervento di molteplici attori, pubblici e privati. L’autorità giudiziaria ha il compito di accertare le eventuali responsabilità penali delle autorità coinvolte. A noi tutti, invece, è consegnato l’ugualmente importante compito di prendere posizione davanti all’ennesima morte collettiva in mare.
Questo naufragio – come la lunga serie di eventi simili che lo precedono – non è il frutto del caso, non è politicamente neutro. È il puntuale prodotto delle azioni e delle politiche delle istituzioni italiane ed europee. Abbiamo la responsabilità storica di continuare a ripeterlo in ogni sede utile: è indispensabile ribaltare la logica che governa il Mediterraneo centrale e predisporre, in maniera rapida ed efficace, operazioni strutturali e pubbliche di soccorso in mare.