Photo: Anonima
Dalla notte tra il 14 e il 15 febbraio, quasi una settimana fa, a Lampedusa sono ricominciati gli sbarchi. Dopo una settimana di stop, il molo Favaloro è tornato ad essere animato dalle persone soccorse dalla Guardia Costiera e dalla Guardia di Finanza nei pressi dell’isola.
È ormai un andamento ricorrente e conosciuto: con il maltempo le partenze si fermano o almeno rallentano, ma appena il vento torna leggero e il mare si calma, gli arrivi ricominciano. Delle ONG, come si è ripetuto in questi giorni, nemmeno l’ombra: anche i giorni scorsi sono stati assegnati loro dei porti di sbarco lontanissimi, a navi grandi e piccole che avevano soccorso poche decine di persone. Eppure, le persone – con le loro storie, i loro volti, i loro desideri – eccole qua.
Nell’ultimo anno sempre più persone provenienti dall’Africa Subsahariana, in fuga dalla Libia o direttamente dal proprio paese, hanno iniziato a partire dalle coste tunisine. In molti casi, queste sono quelle che si imbarcano in condizioni peggiori: su barche in ferro, fatte di lamiere a malapena saldate insieme, anche con condizioni meteomarine avverse. In questi giorni sono ripresi anche gli sbarchi di persone provenienti direttamente dalla Libia: barche con 100, 150 persone, hanno raggiunto le coste di Lampedusa.
In meno di una settimana sono arrivate circa 5.000 persone. È difficile immaginare cosa voglia dire stare al molo Favaloro e non avere lo spazio per camminare, o vedersi davanti la motovedetta della Guardia Costiera che, mentre fa da spola tra la banchina e l’evento successivo, deve manovrare con attenzione nel porto perchè prima di lei ci sono anche due motovedette della Guardia di Finanza, l’assetto svedese di Frontex, e quello dei carabinieri, tutti occupati in operazioni di sbarco e soccorsi. Ed è difficile immaginare cosa voglia dire essere confinati con altre 3.200 persone dentro l’hotspot di Contrada Imbriacola, che è costruito per ospitarne 389. Sabato sera una donna è morta, al suo interno. E non è la prima, negli ultimi mesi. Non risulta difficile immaginare che le condizioni in cui era costretta a vivere abbiano reso semplicemente impossibile anche solo rendersi conto che stava per andarsene. Il rito di saluto – il corpo avvolto tra lenzuola bianche – non è sufficiente a rendere giustizia per la sua scomparsa, o per quella di un’altra persona, trovata morta su una delle ultime barche soccorse della Guardia Costiera a largo dell’isola.
L’ente gestore dell’hotspot – la società cooperativa Badia Grande che gestisce anche altri centri per persone migranti in Italia – da parte sua, ha smesso di distribuire i kit, l’acqua e il cibo per tutti dopo la prima giornata di sbarchi. Alcune delle strutture dove devono alloggiare i migranti, completamente piene di rifiuti di qualunque tipo che non vengono smaltiti da giorni, si sono completamente allagate – melma e acque nere coprono i pavimenti. Dietro le inferriate, le persone sono così tante che è difficile semplicemente camminare.
Da sabato mattina varie navi militari hanno iniziato a raggiungere Lampedusa per trasferire le persone, verso la Sicilia, la Puglia e la Calabria. Una certa indolenza, se non pigrizia, sembra connotare la gestione di questi trasferimenti che, di nuovo, sono stati avviati troppo tardi da poter concretamente fare in modo che le persone non finissero in condizioni non degne di un essere umano.
Nonostante l’evidente sovraffolamento già a partire da martedì, ci sono voluti giorni perché la nave Dattilo, e la San Giusto, e poi altre, raggiungessero l’Isola. A questo problema si è sommata la mancanza di personale per svolgere le procedure di identificazione e fotosegnalamento – senza le quali le persone non potrebbero lasciare l’isola. Nell’hotspot, al momento, rimangono più di 2.000 persone.
Alcune delle persone confinate nell’hotspot o in altri centri riescono a far sentire la propria voce, mettendosi in contatto con associazioni solidali: alcune sono ancora lì, a Lampedusa, e non riescono a credere a quello che vedono; altre sono in altri centri, come quello di Pian del Lago, a Caltanissetta: hanno ancora addosso i vestiti con cui hanno fatto la traversata una settimana fa. Se già a Lampedusa, contro ogni loro diritto, era stato loro impedito di uscire dal centro, sembra che la limitazione della libertà delle persone migranti in Italia sia semplicemente la prassi: per il momento, non si può uscire – gli hanno detto – nemmeno dal centro di accoglienza.
Come realtà presenti sull’isola, attiviste e attivisti coinvolte nelle lotte per la libertà di movimento e in solidarietà con le persone migranti, denunciamo le condizioni in cui le persone che arrivano a Lampedusa vengono costrette ma, soprattutto, denunciamo un sistema più ampio che rischia di rende l’isola una prigione, talvolta letale. Cosa potrebbe succedere nei prossimi mesi, quando le condizioni meteomarine saranno sempre migliori? Quale tragedia deve accadere, ancora, perché il sistema hotspot venga abolito?
È una volontà politica quella di non gestire gli arrivi al di là dall’emergenza, farsi trovare costantemente impreparati da fenomeni che sono prevedibili, e quindi gestibili con strumenti specifici e misure accurate. È una volontà politica quella di rendere Lampedusa il centro (allo stesso tempo dimenticato) della presunta invasione, delle tragedie, del caos. Tutto questo si potrebbe evitare, ma si sceglie di non farlo.
In questo ultimo anno l’Italia e l’Europa hanno aperto le loro frontiere a milioni di profughi provenienti dall’Ucraina. Poche migliaia di persone in arrivo a Lampedusa non possono costituire un problema: un’accoglienza dignitosa non solo è un diritto fondamentale ma anche qualcosa di praticabile.
Affinché la situazione cambi, sono necessarie decisioni politiche diverse da quelle portate avanti negli ultimi decenni:
- Chiediamo la revisione della convenzione tra la prefettura e l’ente gestore, vista la nuova apertura della gara di appalto, per garantire i diritti fondamentali delle persone che vi transitano;
- Chiediamo che venga rispettato il diritto delle persone a uscire dal centro;
- Chiediamo che venga assunto più personale per la cura e non solo per il controllo delle persone, anche in proporzione alle persone effettivamente ospitate;
- Chiediamo un sistema di trasferimenti efficace e veloce, non di reazione in ritardo a fronte di fenomeni che si proclamano come emergenze o crisi straordinarie;
- Chiediamo una reale accoglienza dei rifugiati e dei migranti!
Basta alla spettacolarizzazione dell’emergenza! Vogliamo misure di accoglienza al di fuori della logica carceraria, di emergenza o di disumanizzazione. Vogliamo delle strutture di accoglienza degne, efficaci, e che rispettino non solo i diritti ma anche le necessità e i desideri delle persone accolte.
Libertà di movimento per tutt*!
LOUISE MICHEL
MALDUSA
MEDITERRANEA SAVING HUMANS
RESQSHIP
R_42 SAILTRAINING
WATCH THE MED – ALARM PHONE