Fermate le stragi in mare!

Versione italiana a cura di/Italian translation by: MEDITERRANEA Saving Humans.
Grazie agli amici di Mediterranea Saving Humans per aver tradotto il nostro rapporto in italiano.

Sei naufragi e quasi 200 morti al largo della Libia a settembre!

Seabird ha avvistato il gommone con 86 persone in pericolo @sea-watch.org

Introduzione

Ancora una volta, centinaia di persone sono morte nel Mediterraneo centrale nel giro di pochi giorni, e ancora una volta le autorità europee tacciono. Ancora una volta, i sopravvissuti sono vivi solo grazie agli sforzi dei pescatori locali che li hanno salvati. E ancora una volta, la Fortezza Europa ha dimostrato la sua violenza mortale contro le persone che cercano di attraversare le frontiere e di mettersi al sicuro.

Tra il 14 e il 25 settembre, Alarm Phone ha ricevuto centinaia di segnalazioni da persone che si trovavano in pericolo in mare. Mentre alcune delle persone che si erano messe in contatto con noi sono state salvate dalla nave Alan Kurdi, molte altre non sono riuscite a raggiungere l’Europa, ma sono state respinte in Libia e quindi alla guerra e alla tortura da cui tentavano di fuggire a rischio della vita.

Purtroppo in molti non sono riusciti a contattare Alarm Phone mentre erano in difficoltà in mare e ci hanno chiamato solo dopo essere ritornati a terra, raccontandoci come erano sopravvissuti ai naufragi, come avevano visto gli amici morire in mare e come quelli che erano sopravvissuti erano vivi solo grazie all’intervento di coraggiosi pescatori.

Nel giro di pochi giorni sono morte al largo della costa libica più di 190 persone. Nella seconda parte di questo rapporto ricostruiamo ciascun evento secondo le informazioni che abbiamo raccolto soprattutto grazie alle testimonianze dei sopravvissuti e dei pescatori.

Abbiamo raccolto testimonianze e documentato i seguenti naufragi:

  • Il 14 settembre si è registrata la morte di 22 persone dopo un naufragio al largo della Libia.
  • Il 18 settembre sono scomparse almeno 20 persone e si teme che siano morte a seguito di un naufragio al largo di Zawiya.
  • Lo stesso giorno, i pescatori hanno salvato 51 persone su 54 in due interventi distinti, ma sono arrivati troppo tardi per almeno tre persone, che hanno perso la vita al largo di Garabulli.
  • Il 19 settembre un pescatore ha salvato più di 100 persone al largo di Zuara ma, all’attracco, due persone si sono gettate in acqua dal molo per sfuggire all’arresto e sono morte.
  • Il 21 settembre, il naufragio più letale registrato quest’anno è costato la vita a più di 110 persone. Solo 9 persone sono state tratte in salvo da un pescatore.
  • Il 22 settembre le persone in difficoltà che si sono messe in contatto con Alarm Phone hanno riferito che 4 persone si erano buttate o erano cadute in acqua, e ancora non si sa che cosa sia stato di loro. Il giorno dopo, Seabird ha avvistato diverse persone in acqua poco prima dell’intercettazione da parte della cosiddetta guardia costiera libica. Il loro destino non è chiaro e temiamo il peggio.
  • Il 25 settembre l’OIM ha denunciato un altro naufragio in cui hanno perso la vita 16 persone.
  • Lo stesso giorno, una barca in difficoltà si è messa in contatto con Alarm Phone riferendo che almeno due persone a bordo erano morte – il giorno dopo, il 26 settembre, l’OIM ha riferito che i sopravvissuti avevano comunicato che in quel viaggio i morti erano stati 15.

Questa è la seconda volta in un mese che ci troviamo a scrivere un rapporto su molteplici naufragi avvenuti al largo delle coste libiche. Come per i drammatici naufragi che abbiamo segnalato in agosto, nessuna organizzazione ufficiale e nessuna autorità ha preso atto della maggior parte dei naufragi avvenuti a settembre. A parte poche eccezioni, abbiamo sentito parlare di queste tragiche morti in mare solo perché i sopravvissuti traumatizzati o i coraggiosi pescatori si sono rivolti ad Alarm Phone per far sentire la loro voce.

I numerosi naufragi avvenuti nei giorni scorsi sono il risultato di un regime violento lungo i confini, finanziato dalle Istituzioni europee. Sono il risultato del blocco delle indispensabili navi civili di soccorso e del fermo dell’aereo civile di osservazione Moonbird. Sono il risultato di una vuoto letale creato nel salvataggio – vuoto attualmente colmato solo da pochi pescatori che rischiano la vita e la libertà per evitare le stragi in mare.

Coloro che sopravvivono a questi naufragi sono spesso lasciati soli, si nascondono per evitare l’arresto e la detenzione, oppure vengono arrestati dalle autorità e dalle milizie libiche e imprigionati per mesi.

Come ci ha detto questa settimana un sopravvissuto:

“Questa è la vita che affrontiamo in Libia. Quello che facciamo, dobbiamo farlo per sopravvivere. Molte persone in Libia non vogliono mettersi in mare, ma non ci rimane altra scelta. Preferiamo morire in mare che morire su questa terra. Non capisco perché in Europa si parli di solidarietà. Dov’è questa solidarietà? Che cosa significa? È una domanda che non riesco a togliermi dalla testa.”

Non sappiamo come rispondere a questa domanda. Sappiamo che molte persone si battono contro la Fortezza Europa e la sua violenza, ma non basta. Siamo stanchi di dire ai naufraghi e alle vittime delle torture in Libia che non possiamo fare nulla per loro. Siamo stanchi di vedere persone che perdono la vita in mare e di vedere che non importa a nessuno. Siamo stanchi di passare ore al telefono con persone in difficoltà, senza poterli rassicurare che i soccorsi stanno arrivando, e ore a cercare di raggiungere autorità che trascurano i loro doveri di salvataggio nei confronti delle barche in difficoltà.

Siamo stanchi, ma non molliamo. La nostra solidarietà è alimentata dalla lotta per porre fine alle morti in mare e dalla volontà di mettere i responsabili di queste atrocità davanti alle loro responsabilità. Vogliamo portare alla luce la violenza che l’Europa cerca di nascondere. Ci dispiace che questa solidarietà produca solo piccole crepe nelle mura della Fortezza Europa, ma non ci lasceremo scoraggiare. Facendo eco alle parole del nostro amico di Moonbird: “la lotta contro la Fortezza Europa non è finita e noi siamo convinti che vinceremo.”

Ribadiamo ancora una volta che la cosiddetta Guardia Costiera libica è stata inventata da Stati e Istituzioni europee non con l’intenzione di salvare, ma esclusivamente allo scopo di respingere le persone in Libia con la forza. Abbiamo sotto gli occhi il fatto che la c.d. Guardia Costiera obbedisce agli ordini di pattugliare i confini europei, ma è raramente raggiungibile in caso di distress, ritarda i soccorsi o semplicemente non presta alcuna assistenza. Anche le navi mercantili coinvolte in casi di emergenza seguono l’ordine di aspettare finché la c.d. Guardia Costiera libica non abbia effettuato le deportazioni, anziché adempiere al dovere di salvare vite in mare.

La Commissione Europea definisce la solidarietà come una “sponsorizzazione dei rimpatri” che rafforzerà la collaborazione dei singoli governi nazionali nel deportare le persone che cercano invece di vivere in Europa in pace. Per noi la solidarietà è solidarietà con coloro che l’Europa vuole bloccare, deportare o lasciare annegare.

Primo naufragio: morte 22 persone, 45 sopravvissuti arrestati.

L’OIM ha riferito che lunedì 14 settembre una barca è stata soccorsa dalla cosiddetta Guardia Costiera libica. Sono arrivati troppo tardi per 22 persone provenienti per lo più dall’Egitto, che sono morte dopo che la barca si è rovesciata al largo della Libia. Solo due corpi sono stati recuperati, mentre almeno 20 persone sono scomparse. Al loro ritorno in Libia, i 45 sopravvissuti sono stati immediatamente rinchiusi nel centro di detenzione di Zawiya.

Secondo naufragio: Si teme che siano annegate almeno 20 persone.

Giovedì 17 settembre, un gommone bianco partito da Zawiya si è rovesciato. A bordo c’erano circa 75 persone. Una donna sopravvissuta al naufragio si è messa in contatto con Alarm Phone nei giorni successivi. Ha spiegato che quando sono usciti in mare, il maltempo e le onde alte hanno danneggiato il gommone e che, dopo due o tre ore di navigazione, era chiaro che la barca stava imbarcando troppo acqua e hanno deciso di tornare indietro. Prima di raggiungere la costa, però, il gommone si è rovesciato: i passeggeri, nessuno dei quali indossava un giubbotto di salvataggio, sono finiti tutti in acqua.

Questo è il suo racconto:

“Ho visto molti bambini e donne morire, non sapevano nuotare e sono semplicemente andati sotto. Ho visto alcuni dei cadaveri intorno a me. Io stessa sono rimasta intrappolata in un pezzo di legno del gommone e ho pensato che sarei morta. Qualcuno è riuscito a tirarmi su e a trascinarmi di nuovo a riva. Quelli di noi che hanno raggiunto la riva si sono separati appena usciti dall’acqua. Avevamo tanta paura di essere catturati dalla polizia. La vita in Libia non è la vita normale. Per le donne, in particolare, è durissima. Siamo esposte alle peggiori violenze. A volte siamo costrette ad avere rapporti sessuali con i trafficanti. Qui ho perso tutte le mie speranze e i miei soldi. È la quarta volta che cerco di fuggire per mare. Ho perso mio figlio nell’ultimo naufragio in cui sono stata coinvolta e penso a lui ogni giorno. Non so come farò a uscire dalla Libia.” 

Poiché il naufragio è avvenuto di notte, era difficile per la superstite stimare il numero delle vittime, ma ci ha detto che almeno 20 persone erano scomparse e probabilmente avevano perso la vita.  (Nazionalità: Somalia, Camerun, Costa d’Avorio, Gambia, Guinea). Dice di aver visto almeno cinque corpi di bambini o neonati, e con loro almeno una donna incinta.

Terzo naufragio: tre persone morte in mare.

Sabato 19 settembre, un altro gommone era in grave difficoltà al largo di Garabulli. Quella notte un pescatore si è messo in contatto con Alarm Phone e ci ha informato che, qualche ora prima, aveva trovato un gommone sgonfio con 54 persone a bordo. Era riuscito a trarre in salvo solo 21 persone, comprese le 7 donne che erano a bordo, e aveva dovuto abbandonare 33 persone. Aveva cercato di contattare la cosiddetta Guardia Costiera libica, ma senza risposta. Ha poi cercato di mobilitare la sua rete di pescatori. Il giorno seguente, domenica 20 settembre, ha contattato di nuovo Alarm Phone per confermare che un altro pescatore aveva risposto alla sua chiamata, aveva raggiunto la barca e salvato 30 persone che erano aggrappate ai resti del gommone. Purtroppo era troppo tardi per almeno 3 persone che sono morte prima che il secondo pescatore potesse intervenire.

Quarto naufragio: due persone sono morte nel porto di Zuara nel tentativo di sfuggire all’arresto.

Lo stesso giorno, sabato 19 settembre, una barca che era partita da Zuara con 102 persone a bordo è stata soccorsa da un pescatore dopo 18 ore in acqua. Il pescatore ha tratto in salvo tutti i naufraghi, ma due di loro sono morti dopo aver raggiunto il porto di Zuara: mentre stavano per essere arrestati e portati in prigione, hanno cercato di fuggire gettandosi dal molo e sono finiti contro gli scogli. Gli altri sopravvissuti sono attualmente detenuti a Zuara, mentre alcuni sono riusciti a fuggire.

Un sopravvissuto ci ha raccontato la storia di Hadi, una delle due persone che sono morte nel porto di Zuara.

“Hadi era del Ghana, di Kumasi, nella regione di Ashanti. Aveva 29 anni. Il suo soprannome è Puyaka. Non so se avesse figli a casa. Era una persona umile. Siamo arrivati insieme in Libia nel 2017, e lui è rimasto a Zuara per due anni prima di prendere quella barca. Aveva già tentato di attraversare nel 2017 e nel 2018, ma è stato riportato in Libia dalla guardia costiera. Questa volta ha cercato di fuggire perché era già stato in prigione e sapeva cosa lo aspettava. Avrebbe fatto di tutto per non tornare in prigione. Ti chiedono di pagare un sacco di soldi, e se non puoi pagare devi stare lì 6 o 7 mesi. Anche se sei un bambino di 5 mesi devi pagare 500 dinari per uscire. Hadi non voleva tornare in carcere. Qui non importa se commetti un reato oppure no: possono prenderti per qualsiasi motivo e metterti in prigione per prenderti tutti i suoi soldi.”

Quinto naufragio: 111 persone disperse, si teme siano morte.

Il naufragio più letale segnalato nel 2020 è avvenuto lunedì 21 settembre, e più di 110 persone hanno perso la vita. Un gommone grigio con almeno 120 persone a bordo, tra cui donne e bambini, ha iniziato ad affondare al largo di Sabratha: appena un’ora dopo aver lasciato la riva, il motore si è guastato, un tubolare si è rotto e il gommone si è sgonfiato. Le persone in difficoltà hanno cercato di chiedere aiuto, ma invano. Secondo un sopravvissuto, solo nove delle persone che erano a bordo, tra cui due donne, sono riuscite a sopravvivere aggrappandosi all’asse di legno e sono state salvate da un pescatore dopo diversi giorni in mare. Purtroppo le altre 111 persone che erano a bordo sono attualmente disperse. Molti dei dispersi provenivano dal Camerun, dal Niger, dal Mali, dal Sudan, dalla Guinea e dalla Costa d’Avorio. I sopravvissuti con cui abbiamo parlato ci hanno detto che sono traumatizzati ed esausti, e che soffrono di gravi ustioni.

“Intorno a noi tutti andavano a fondo. Siamo rimasti tre giorni in acqua prima che un pescatore venisse a salvarci. A causa dell’acqua salata e della benzina abbiamo ustioni su tutto il corpo. Alcuni di noi hanno gli arti paralizzati. Siamo deboli. Non stiamo bene. Abbiamo bisogno di sostegno.”

Il sopravvissuto con cui abbiamo parlato ci ha inviato le foto di alcune delle persone uccise in questo tragico evento, comprese quelle di Fatim, Oumar e dei loro quattro figli.

Un naufragio in corso: diverse persone scomparse e 12 ore di non assistenza.

Martedì 22 settembre una barca in difficoltà con 86 persone a bordo ha allertato Alarm Phone. Noi abbiamo immediatamente allertato tutte le autorità e abbiamo individuato un aereo di Frontex che monitorava dall’alto la barca in pericolo. Dopo il nostro allarme ci sono volute circa 12 ore affinché la cosiddetta Guardia Costiera libica intervenisse. Mentre eravamo al telefono con le persone in difficoltà, abbiamo saputo che il giorno prima quattro persone erano cadute in mare – a causa della cattiva comunicazione non è stato possibile capire se fossero scomparse fossero invece riuscite a risalire in barca.

Seabird ha avvistato il gommone con 86 persone in pericolo @sea-watch.org

Nel pomeriggio di martedì 24 settembre l’aereo civile Seabird ha avvistato la barca. Un tubolare si stava sgonfiando e diverse persone erano in acqua. Dopo la partenza di Seabird, le persone sono state intercettate per conto della cosiddetta Guardia Costiera libica circa 12 ore dopo il nostro primo allarme. Secondo l’equipaggio di Seabird, non è ancora chiaro se le persone in acqua siano state salvate. Abbiamo chiesto alle autorità informazioni sulle persone potenzialmente scomparse, ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta. I sopravvissuti catturati dalla cosiddetta Guardia Costiera libica sono stati poi rinchiusi nel centro di detenzione di Tarik Al Sikka, uno dei centri di detenzione più disumani e violenti della Libia.

Un altro naufragio in corso: 15 persone sono annegate al largo di Al Khums.

Circa 115 persone in difficoltà hanno chiamato Alarm Phone alle 22.26 di giovedì 24 settembre, dicendo che la loro barca si stava capovolgendo e che avevano dei cadaveri a bordo. Erano fuggiti da Al Khuns il 23 settembre su un gommone nero. Il cattivo collegamento rendeva difficile la trasmissione di una corretta posizione GPS. Il 25 settembre alle 00.31 del mattino Alarm Phone ha avvisato per telefono la cosiddetta Guardia Costiera libica della grave situazione di pericolo e ci è stato risposto che avrebbero inviato un’imbarcazione. Alle 00.55 la c.d. Guardia Costiera Libica ha dichiarato al telefono che due imbarcazioni avevano raggiunto le persone in difficoltà, mentre le persone sulla barca non hanno confermato per telefono che i soccorsi fossero in vista. Alle 03.02 le persone sono riuscite a inviare la loro posizione GPS, 34°04N 014°04E, via SMS Thuraya e noi la abbiamo inoltrata alle autorità. Le persone in difficoltà hanno riferito che il gommone stava imbarcando acqua e il motore era in avaria. Alle 4.45 una piattaforma di tracciamento Ais ha mostrato la nave mercantile Cape Guinea a 8 miglia nautiche dall’ultima posizione conosciuta dell’imbarcazioen. Dopo le 05.02 non siamo più stati in grado di ricollegarci con la barca.

Alle 13.17 l’aereo Seabird è giunto sul posto e ha avvistato il gommone. Dall’alto, l’equipaggio ha dovuto assistere all’annegamento di una persona e a due persone in acqua. L’imbarcazione Cape Guinea ha iniziato ad allontanarsi. Secondo l’equipaggio di Seabird, alle 12.46 il mercantile aveva informato la cosiddetta Guardia Costiera libica che una persona era in acqua e aveva chiesto loro di fare in fretta. Quando Seabird ha informato la nave Cape Guinea del suo dovere di prestare assistenza, si è sentita rispondere che la cosiddetta Guardia Costiera Libica e il MRCC Roma avevano dato l’ordine alla nave mercantile di abbandonare la scena.

Secondo l’equipaggio di Seabird, la motovedetta PB206 Al-Kifah della cosiddetta Guardia Costiera libica è arrivata alle 13.29 e ha imbarcato le persone che erano in acqua, rifiutandosi però di recuperare il corpo. Dopo aver intercettato le persone sul gommone, hanno riferito a Seabird che c’erano altri due cadaveri a bordo.

Le autorità sono quindi intervenute solo 12 ore dopo la prima segnalazione del caso di emergenza. La nave mercantile Cape Guinea ha dato protezione alle persone per circa 12 ore, ma non le ha fatte salire a bordo e ha aspettato che la cosiddetta Guardia Costiera libica le catturasse e le riportasse in Libia. Più tardi, l’OIM ha riferito che, intervistati dopo lo sbarco alla base navale libica di Abu Sitta (alle 22.00 del 25 settembre), i sopravvissuti hanno raccontato di avere visto annegare 15 persone dopo che il gommone aveva iniziato a sgonfiarsi: nove uomini del Ghana, due uomini del Sudan e quattro persone di altre nazionalità.


Sesto naufragio: 16 persone morte al largo di Al Khums

Sempre venerdì 25 settembre l’OIM ha riferito che un pescatore ha soccorso una barca in difficoltà al largo di Al Khums. Il pescatore è riuscito a salvare 22 delle 38 persone in pericolo. Secondo quanto hanno raccontato, sono stati recuperati i resti di 3 persone, mentre 13 persone sono scomparse. Le persone avevano tentato di fuggire dalla Libia su un gommone la notte del 23 settembre da Zliten.

Esprimiamo la nostra solidarietà alle famiglie e agli amici delle persone defunte e dispersi. Siamo sconvolti dal fatto di non essere riusciti a fare di più e a prevenire queste morti e queste perdite. Promettiamo di continuare a combattere contro le frontiere mortali dell’Europa e per un mondo giusto dove tutti siano liberi di muoversi.

 

Alarm Phone, 28/09/2020